In apertura delle sue “Lezioni di politica sociale”, Luigi Einaudi spiega il concetto di mercato raccontando cosa sia e come funzioni un mercato, una fiera, un incontro reale di persone, di domanda e di offerta.

Un mercato

Che cosa è il mercato ?

Siete mai stati in un borgo di campagna in un giorno di fiera? In mezzo al chiasso dei ragazzi, alle gomitate dei contadini e delle contadine le quali vogliono avvicinarsi al banco dove sono le stoffe, i vestiti, le scarpe ecc. da osservare, confrontare, toccare con mano ed alle grida dei venditori, i quali vi vogliono persuadere che la loro roba è migliore di tutte, la sola che fa una gran bella figura quando l’avete addosso, la sola che vi farà prima infastidire voi di portarla che essa di essere frustata, quella che è un vero regalo in confronto al poco denaro che dovete spendere per acquistarla? Quella fiera è un mercato, ossia un luogo dove, a giorno fisso e noto per gran cerchia di paesi intorno, convengono a centinaia i camion, i carri e i carretti dei venditori carichi delle merci, delle cose più diverse, dai vestiti alle scarpe, dalle casseruole dai cucina ai vomeri per l’aratro, dalle lenzuola alle federe, dalle cianfrusaglie per i ragazzi ai doni alla fidanzata per le nozze. Sulla fiera si offre di tutto; e ci sono sempre molti che offrono la stessa cosa. E sulla fiera convengono da ogni parte, da gran cerchia di villaggi e casolari posti attorno al grosso borgo, dove ci sono piazze e osterie atte ad ospitare e dare da mangiare a tante gente, migliaia, moltitudini di compratori, desiderosi di rifornirsi delle cose che ad essi mancano. Specialmente nella fiera di Pasqua e in quella dei santi l’afflusso dei compratori e dei venditori è grande. Arrivano a torme i compratori perché sanno che dove c’è grande concorso è sempre più facile trovare ciò di cui si ha bisogno e trovarlo alle migliori condizioni di prezzo: e giungono numerosi venditori, perché sanno che, dove c’è moltitudine di gente desiderosa di comprare, è sempre più agevole vendere la merce e venderla bene. I compratori desiderano di acquistare a buon mercato ed i venditori di vendere a caro prezzo. Spinti da motivi opposti essi si affrettano verso lo stesso luogo, verso la fiera, il mercato.

Anche la bottega è un mercato. Di botteghe dove si vendono le stesse verdure, la stessa carne, le stesse qualità di pane o di panni o di scarpe, ce ne sono molte nello stesso rione della città, spesso nella stessa via, se questa è un po’ frequentata. La gente passa dinanzi alle vetrine, guarda qualità e prezzi e confronta. Se il cliente si decide ad entrare può darsi che egli si trovi solo a faccia a faccia col bottegaio. Ma in realtà né l’uno né l’altro è solo. Il bottegaio sa che accanto a lui ci sono altri bottegai, venditori della stessa merce, pronti a portargli via il cliente se egli pretenda un prezzo troppo alto. Il cliente ha già osservato e confrontato e sa che non gli conviene tirare troppo sul prezzo perché tanto egli non troverebbe la roba altrove a più buon mercato. I concorrenti, venditori e compratori, non sono lì presenti a strapparsi l’uno all’altro i clienti o la roba; ma, sebbene invisibili, ci sono.

Forse vi sarà accaduto anche di passare un qualche mattino, tra le undici e il mezzogiorno, dinnanzi ad un palazzo sui cui è scritto “BORSA”. Se la curiosità vi ha spinto ad entrare nel salone centrale o ad avvicinarvi al padiglione vetrato che sta in mezzo al cortile d’onore, avrete osservato gran folla di signori, abbastanza ben vestiti, che ogni tanto tirano fuori di tasca un taccuino e una matita e segnano qualcosa. Alcuni sono seduti e silenziosamente annotano in seguito a segni impercettibili che essi colgono a volo sulle labbra di qualche collega. Altri sono congestionati in volto e urlano parole che voi non capite a persone che stanno lontane ed urlano anch’essi parole incomprensibili. Ragazzi, fattorini e commessi corrono incessantemente tra il gruppo della gente silenziosa o vociferante e certe cabine poste lungo le pareti del salone e che voi scoprite essere cabine telefoniche e portano avanti e indietro messaggi verbali o rapidamente tracciati a matita su pezzi di carta. Anche quello è un mercato. Non vi si vedono le merci negoziate; perché per comprare e per vendere non sempre è necessario, come si fa sulle fiere e nelle botteghe, vedere e toccare con mano la merce. Nelle borse si vendono titoli di stato, azioni di società anonime, obbligazioni di comuni o di istituti di credito fondiario, ossia pezzi di carta aventi un valore più o meno alto ma tutti uguali, quelli della stessa specie, gli uni agli altri. Non è necessario vedere e toccare, perché il venditore non può consegnare, quando sia giunto il momento di eseguire il contratto, se non quel preciso pezzo di carta con su scritte quelle certe parole e non altro. Ci sono borse nelle quali, invece che pezzi di carta, si negoziano derrate e merci; frumento, granoturco, seta, lana, cotone, argento, rame, stagno, zinco, piombo, ghisa ecc. ecc. Qui parrebbe necessario vedere e toccare; ma sarebbe un grosso imbroglio per centinaia e migliaia di venditori arrivare in borsa ciascuno con un grosso carico, anche se si tratta di minuscoli campioni da distribuire ai compratori in pegno della qualità della merce che dovrà essere consegnata. I campioni ci sono; ma sono ideali e sono già fissati dai regolamenti della borsa. Ad esempio, quando si negozia frumento, compratori e venditori si riferiscono tacitamente ad un certo tipo o ad un certo altro tipo di frumento, d’inverno o di primavera, duro o tenero, di un certo peso specifico, per es. 78 kg. Per hl., con un certo grado di impurità, ovvero sia di materie estranee, supponiamo l’1%. Quello è il frumento che si contratta e che deve essere consegnato al prezzo convenuto. Si capisce che non sempre si potrà consegnare frumento di quella precisissima qualità. Forse il peso specifico sarà di kg. 78,30, ovvero di 77,50 invece dei convenuti 78; ovvero le impurità saranno del 2 o dello 0,50 per cento invece che dell’1%. Ma il regolamento della borsa, conosciuto da tutti preventivamente, stabilisce già quali aumenti o quali diminuzioni percentuali si debbano apportare al prezzo convenuto se la qualità effettiva è alquanto migliore o peggiore di quella “tipo”.

Si potrebbe continuare negli esempi; ma ormai pare abbastanza chiaro che cosa sia un mercato. E’ un luogo dove convengono molti compratori e molti venditori, desiderosi di acquistare o di vendere una o più merci. Invece di merci, si possono negoziare quelli che si chiamano servigi. Alla mietitura e alla vendemmia, tutti sanno che di gran mattino, fra le quattro e le sei, su certe piazze del borgo convengono i mietitori e le vendemmiatrici che intendono andare ad opera a servigio altrui e convengono altresì gli agricoltori i quali hanno il frumento in piedi da far mietere o le uve da staccare nella vigna. Nelle città il sistema è mutato un po’ e ci sono gli uffici di collocamento, privati e pubblici, dove convengono datori di lavoro che hanno bisogno di operai ed operai che desiderano trovare lavoro. Il punto essenziale da tenere in mente è che il mercato è un luogo dove convengono molti compratori e molti venditori. Bisogna aggiungere subito alla parola convengono anche qualche altra parola: è un luogo dal quale compratori e venditori possono uscire quando ad essi non convegna stipulare il contratto. Se ad es., il mietitore o la vendemmiatrice giunti sul mercato fossero presi per il collo, per modo di dire, dal carabiniere o costretti ad andare a lavorare a mietere per 30 lire al giorno quando il prezzo di mercato è 50; o a vendemmiare per 10 lire invece che per 20, quello non sarebbe più un mercato, ma uno strumento di schiavitù. Qui vogliamo spiegare che cosa sia un mercato e non che cosa furono in passato, o possono essere al presente in certi paesi, gli ergastoli degli schiavi. Parimenti, quando si tratta di merci, perché ci sia un vero mercato, occorre che il venditore possa rifiutarsi a vendere o il compratore possa rifiutarsi di comprare senza troppo grave suo danno. Certo, è sempre meglio, se conviene, vendere o comprare subito invece che aspettare; ma, entro certi limiti, l’aspettare può essere conveniente. Perché ci sia vero mercato, occorre però che le due parti siano libere di non mettersi d’accordo. Se il venditore dispone di una merce ingombrante e pesantissima che costerebbe l’ira di Dio a ritrasportare in magazzino, o di frutta e verdura che, se non è venduta subito, marcisce, non è che il mercato non ci sia più. Esso esiste sempre; ma comporta per una delle parti alcuni rischi di cui conviene tener conto preventivamente se non si vuole essere presi per il collo dall’altra parte.

 

Il prezzo di mercato

Perchè non si deve parlare di prezzo giusto o ingiusto ?

Sebbene ciascuno si faccia un’idea propria di ciò che sia la giustizia, compratori e venditori, arrivando sul mercato aspirano ambedue, gli uni a pagare e gli altri a riscuotere il prezzo giusto. Innanzitutto bisogna cominciare a ficcarsi bene in mente che l’aggettivo giusto, appiccicato dietro al sostantivo prezzo, è un corpo estraneo, il quale in verità non ha niente a che fare col mercato di cui ci occupiamo. Sul giusto o sull’ingiusto dà la sentenza il giudice, dinnanzi al quale vanno due i quali litigano intorno alla proprietà di un pezzo di terra od intorno al diritto di tenere aperta una finestra sull’orto del vicino. Il giudice può dare una sentenza, perché egli si può basare sul codice, sulle leggi, sui regolamenti, sui contratti scritti e verbali, sulle testimonianze, le quali lo istruiscono sul punto litigioso. Egli può dire ad uno dei due: tu sei nel torto e non hai il diritto di aprire la finestra sull’orto del vicino; oppure può sentenziare che egli è nel giusto ed il vicino ha torto a non volergliela lasciar aprire. Ma che cosa potrebbe dire il giudice a proposito di due contadini di cui l’uno pretende per la sua vacca 2000 lire e l’altro non la vuol pagare più di 1800 lire? Essi hanno amendue torto e amendue ragione. A meno che una legge od un regolamento od una commissione, nominata in base ad una legge, eccezionalmente, come accade in tempo di guerra, dica che quella vacca vale 1900 lire, il giudice non sa dir niente in materia. Ciascuno dei due contraenti ha le sue idee intorno al prezzo delle vacche. Il primo le ha sempre vendute, le vacche di quella razza peso ed attitudine a dar latte ed a far vitelli, a 2000 lire e gli pare che gli si farebbe torto a dargli un soldo di meno. Oppure egli sa di averla comprata, quand’era una piccola manzetta, a 500 lire, e poi gli è costata tanto fieno, tanta crusca, tanti mangimi a tirarla su ed a portarla al punto in cui si trova che proprio non può darla a meno di 2000 lire, senza subire, come dice lui, una perdita. Oppure ha rifiutato alla fiera passata 2100 lire, quando per quelle vacche tutti pagavano 2150 lire; ed ora se si decide a darla a 2000 lire è proprio per un tratto di amicizia verso il compratore che egli conosce da tanto tempo. In fondo in fondo, a pensarci bene, il venditore considera prezzo giusto per lui quel prezzo che gli darebbe il mucchio di denaro più grosso possibile compatibilmente con le idee che lui e gli altri si sono fatte sulla possibilità di ottenere un buon guadagno. Il venditore vorrebbe, arrivando sul mercato, non vedere nessuna altra vacca in giro o vederne il minor numero possibile. Per lui ci sono sempre troppe vacche in vendita. Il suo ideale è la scarsità.

Il compratore parte da idee opposte. Quando l’altro gli dice che non può dare la vacca a meno di 2000 lire perché altrimenti perderebbe soldi in confronto alle sue spese, egli tra sé e sé pensa: “Costui dice di perdere; ma, anche se fosse vero, e non è, perderebbe solo perché egli non conosce le sue bestie e le alleva male. In mano mia, con meno crusca e meno farinetta, che sono troppo care, ma più fieno ed erbe passate al trinciaforaggi, più digeribili e meno sprecate, ne avrei tirato su una gran bella bestia spendendo meno. Non è giusto che egli pretenda tanto, solo perché non si intende di vacche. La si sarebbe potuta vendere a 2100 lire la fiera passata? E che colpa ne ho io, se si è lasciata sfuggire l’occasione quando di vacche sul mercato ce n’erano poche e valevano molto? Adesso ce n’è abbondanza e sono ribassate”. Il compratore è dunque colui che vorrebbe vedere sempre l’abbondanza in giro, per pagare poco la roba.

Che cosa c’entra il giusto o l’ingiusto tra le due schiere che vengono sul mercato: i produttori, o venditori i quali vorrebbero la scarsità perché i prezzi fossero alti ed i consumatori, o compratori i quali sono fautori dell’abbondanza perché i prezzi siano bassi?

Tra i due decide il mercato, il quale non afferma che un prezzo sia più giusto dell’altro; ma dice semplicemente: quello è il prezzo. Il prezzo che si paga sul serio, effettivamente; non il prezzo basso di abbondanza desiderato dai consumatori o compratori e neppure il prezzo di scarsità che sarebbe l’ideale dei produttori o venditori.

 

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